I ‘cloni’ di Warby Parker stanno implodendo: perchè?
Potreste non aver idea di chi sia Ty Haney, ma se avete mai utilizzato Instagram non potete non conoscere la sua azienda. Outdoor Voices, con il suo brand da millennial e l’abbigliamento athleisure dai colori pastello, è un vero tormentone sui Social. Ricercando l’hashtag dell’azienda, #DoingThings, appaiono immediatamente immagini di ragazze, tra cui Haney, che indossano con nonchalance top succinti mentre portano a spasso il cane, fanno escursioni, o yoga, abbinati a sgargianti legging e skort rigorosamente firmati Outdoor Voices.
Haney, co-fondatrice dell’azienda nel 2012 all’età di appena 24 anni, si è trovata a capo di quella che sembrava essere una nave a razzo. Nel giro di quattro anni, ha raccolto 64 milioni di dollari in fondi di capitale per la sua startup “Direct-To-Consumer” (DTC), una tipologia di e-commerce creata a immagine di Warby Parker, con l’obiettivo di progettare una versione migliore di un prodotto di uso comune, vendendolo direttamente ai consumatori ad un prezzo inferiore, mantenendo così uno stretto controllo su marketing, servizio clienti e feedback dei dati, con l’obiettivo di usurpare la quota di mercato dei competitor tradizionali. Nel caso di Haney, quei competitor sarebbero giganti del settore come Nike e Lululemon. La 24enne è riuscita ad aggraziarsi una leggenda del Retail come J.Crew Mickey Drexler e ad averlo come Presidente del Consiglio di Amministrazione, e quando ha spostato la sede di Outdoor Voices da New York ad Austin nel 2017, è subito diventata icona indiscussa delle startup emergenti della città, ritrovandosi sulla copertina della rivista Inc. con un articolo di 10.000 parole sulla “ragazza newyorkese”. Sembrava tutto perfetto.
Fino a poche settimane fa, quando è emersa un’immagine molto diversa di Outdoor Voices. Il Business of Fashion ha riferito che a fronte della crescita apparente e della fama della startup – tra cui 11 negozi in città come Los Angeles e Nashville – l’azienda “continua a perdere soldi per l’acquisizione dei clienti”. Secondo il BoF infatti, Outdoor Voices ha subito una perdita di 2 milioni di dollari al mese l’anno scorso su un fatturato annuo di circa 40 milioni di dollari. Sembra persino che i dirigenti stiano fuggendo a gambe levate dalla società in piena crisi. Il nuovo presidente proveniente dalla Nike che Haney era riuscita ad accaparrarsi lo scorso anno è durato solo pochi mesi, e Drexler ha lasciato il Consiglio. La startup è stata in grado di ottenere una nuova infusione di denaro da parte degli investitori della società, ma ad una valutazione inferiore rispetto al passato. Il 25 febbraio, il CEO Haney ha inviato un messaggio sommesso alle sue centinaia di dipendenti: “con dolore, ho presentato le mie dimissioni”, ha riferito BuzzFeed News.
La notizia potrebbe essere interpretata come uno sfortunato incidente isolato, la storia di un’imprenditrice inesperta che ha gestito male la sua fortuna a causa di spese eccessive. Ma per chiunque abbia familiarità con la dura realtà del modello DTC, è l’affermazione di qualcosa di molto più fondamentale: non è tutto oro quello che luccica. Infatti, una volta tolte le generose raccolte di capitale, le scritte eleganti, i punti vendita nelle location di tendenza, gli annunci podcast, si scopre che far quadrare il bilancio è piuttosto complicato.
Da quando il re delle DTC, Warby Parker, è apparso sulla scena delle startup nel 2010, le imprese di Venture Capital hanno finanziato centinaia di startup cercando di imitare quel modello – da produttori di apparecchi acustici e passeggini a farmaci per la disfunzione erettile. Secondo eMarketer al momento esisterebbero più di 400 marchi DTC. Dal 2012, i marchi di consumo hanno raccolto più di 3 miliardi di dollari, ha riferito Digiday lo scorso anno, con circa la metà del capitale realizzato nel solo 2018. Venture Capital come Kirsten Green di Forerunner Ventures si sono fatti un nome facendo scommettendo sulle prime storie di successo delle DTC, tra cui Dollar Shave Club, Glossier e l’originale, Warby. Anche altri investitori come Nikki Quinn di Lightspeed Venture Partners e Caitlin Strandberg di Lerer Hippeau si sono fatti spazio nella mischia delle DTC, incanalando denaro che in genere sarebbe stato destinato a una società di software nella “Warby” di turno, startup come Allbirds, Everlane e Rothy.
Abbiamo appena cominciato a vedere quanto utopistico questo boom sia stato fin dall’inizio. Anche prima della rivelazione Outdoor Voices, gli ultimi mesi hanno mostrato profonde crepe nel modello di business DTC, tant’è che diverse startup DTC di alto profilo e finanziate da Venture hanno fatto fatica a stare galla e altre hanno completamente chiuso i battenti. Gli investitori che finanziano queste aziende stanno scoprendo di avere tutti una cosa in comune – la maggior parte del loro denaro viene utilizzato per sempre maggiori costi di acquisizione clienti (CAC) tramite Google, Facebook, e Instagram.
“Esiste una generazione di consumatori che non vuole i governi e i sistemi dei propri genitori, non vuole far parte del loro settore, e non vuole i loro marchi”, potrebbe replicare uno qualsiasi dei fondatori delle DTC, ma in questo caso, è stata Tina Sharkey, la co-fondatrice e CEO di Brandless, un marchio DTC di articoli per la casa apparso sulla scena nel 2017. La startup di San Francisco che mirava a sbaragliare Target ha messo su un proprio store a Minneapolis, patria del mega-rivenditore, oltre ad avergli soffiato un paio di dirigenti del merchandising – con l’audace obiettivo di vendere generi alimentari private-label e altri beni per la casa a un prezzo fisso di 3 dollari ognuno. La logica di Brandless era quella che, se avessero investito parecchi soldi in marketing per richiamare clienti, quei clienti avrebbero avuto tutte le ragioni per continuare a tornare, grazie alle centinaia di altri prodotti a prezzi accessibili da acquistare. Oltre a raccogliere 52 milioni di dollari da investitori come Google Ventures e Cowboy Ventures, nel 2018 la startup ha raccolto altri 240 milioni di dollari da SoftBank.
Non ci sorprende che le cose non siano andate bene per l’azienda. Brandless si è trovata a dover affrontare i problemi che tante DTC incontrano in questa fase di crescita, nella fattispecie la consapevolezza che creare da zero un prodotto basato sul cliente è in realtà piuttosto difficile – e incredibilmente costoso.
C’è un motivo per cui le aziende DTC commercializzano su Facebook: le inserzioni di Facebook sono economiche da configurare e consentono di targettizzare il pubblico a cui rivolgersi. Il problema, tuttavia, è che canali come Facebook sono divenuti oramai saturi e più costosi rispetto al passato. Lo scorso autunno, Rittenhouse ha affermato che Brandless avrebbe cercato di entrare nei principali rivenditori abbandonando il suo modello di business rigorosamente “online”. Invece di ostacolare Target, l’azienda improvvisamente voleva essere distribuita nei punti vendita del colosso, una tendenza comune tra molte aziende DTC nate dapprima come esclusivamente digitali. Ma anche quest’obiettivo non si è mai concretizzato; a gennaio, Brandless ha annunciato che avrebbe abbassato le saracinesche.
Mentre la logica economica di Brandless non è mai apparsa sostenibile, l’unica parte sensata della sua strategia, almeno in teoria, era quella di fidelizzare il cliente. La realtà è che la maggior parte delle DTC di alto profilo hanno costruito i loro marchi su un unico prodotto – che si tratti di Warby con gli occhiali, di Casper con i materassi o di Away con le valigie. Un mese prima che Brandless chiudesse, la startup di valigie Away si era trovata invischiata in una crisi di pubbliche relazioni. Mesi dopo aver raggiunto lo status di azienda unicorno ottenendo 100 milioni di dollari in finanziamenti a una valutazione di 1,4 miliardi di dollari, The Verge mosse delle accuse contro la super startup da #Instagrammy affermando che il suo CEO Steph Korey avesse generato una cultura dello sfruttamento all’interno dell’azienda. Korey si scusò, e dopo una serie di pubblici tira e molla, mantenne la posizione di CEO dell’azienda, affiancata dal nuovo co-amministratore delegato della società, Stuart Haselden, dirigente di Lululemon.
Mentre la stampa si accaniva su un fondatore che era diventato deleterio sotto pressione, quello non era certo il problema più drammatico dell’azienda. Con un totale di 181 milioni di dollari di finanziamenti e un solo prodotto da commercializzare, come sarebbe riuscita a soddisfare le aspettative degli utili degli investitori? La realtà è che la maggior parte delle persone ha solo bisogno di acquistare una valigia una volta ogni cinque o dieci anni. Nonostante le molte varianti di colore delle sue valigie e borse in alluminio, il prodotto stesso – come molti nel mondo DTC – non è altro che leggermente migliore di una Samsonite o una Travelpro.
Così Away tenta di reinventarsi come qualcosa di molto più grande di quello che in realtà è. Korey e il co-fondatore Jen Rubio definiscono Away come una “società di viaggi”. Nel tentativo di riappropriarsi dei clienti più facoltosi, Away ha al momento diversi progetti finanziati da Venture – linee di integratori e creme di bellezza, abbigliamento da viaggio in tessuti più funzionali e confortevoli.
Con ciò Rubio ha mostrato gli ulteriori ambiziosi piani di espansione della startup, intenzionata ad aprire ben 50 nuovi punti vendita nei prossimi anni. Che tradotto significa: l’acquisizione dei clienti è così impegnativa da richiedere una quantità incredibile di denaro per convincerli ad avvicinarsi al prodotto – e poi ancor più soldi per fidelizzarli.
Quando Casper ha depositato il suo S-1 nel mese di gennaio, analisti, investitori e nerd aziendali si sono avventati sul documento come avvoltoi. Non solo è stato un momento incerto in cui rendere pubblica una startup, ma anche la prima volta che qualcuno poteva effettivamente accedere ai numeri reali di una DTC. “Il bilancio quadra se la Casper ti ha inviato un materasso gratis, imbottito di 300 dollari,” ha punzecchiato il professore di marketing del NYU Stern Scott Galloway. “A quanto pare è questo il business della Casper”, ha twittato Derek Thompson dell’Atlantic. “Compra un materasso per 400 dollari. Rivendilo a 1.000. Rimborsane il 20%. Tieni 400 dollari, più o meno. Poi spendine 290 in pubblicità/marketing e 270 in amministrazione (finanza, HR, IT). Perdi 160 dollari. E ricomincia.”
Come le valigie, anche i materassi sono prodotti con cicli di vita incredibilmente lunghi; non è più probabile che si acquisti un nuovo materasso più frequentemente di quanto non si farebbe con una nuova valigia. Come Away, Casper, con la sua missione di diventare la “Nike del sonno”, ora vende cucce per cani e lampade. (Quel che è peggio, Casper ha circa 175 altri competitor di materassi online). Dall’ S-1 di Casper, abbiamo appreso che nei primi nove mesi del 2019 la startup ha subito una perdita netta di 67,4 milioni di dollari, dopo aver perso 93,2 milioni di dollari nel 2018 e 73,1 milioni di dollari nel 2017. Un avvertimento agli investitori? L’azienda potrebbe non generare mai profitto.
Quando Casper è stata finalmente resa pubblica il 5 febbraio, la realtà è crollata. Nonostante la valutazione privata dell’unicorno pari a 1,1 miliardi di dollari, oggi la sua capitalizzazione di mercato è inferiore a 350 milioni di dollari, il che indica che un mercato pubblico meno credulone non pensa che i suoi materassi valgano così tanto.
Questo forte divario tra il modo in cui una DTC può essere valutata ipoteticamente e ottimisticamente sui mercati privati e la dura realtà di quale sia il valore dei mercati pubblici, sta perseguitando molti CEO di DTC in questo momento. L’unica startup che è quasi riuscita a evitare questo destino è l’azienda di rasoi Harry’s. Nel maggio 2019, ha ottenuto un accordo da 1,37 miliardi di dollari per essere acquisita da Edgewell, il conglomerato che possiede Schick – un’uscita rispettabile per una società la cui valutazione sul mercato privato si stava avvicinando a 1 miliardo di dollari, e il cui principale concorrente, Dollar Shave Club, è stato acquistato da Unilever per 1 miliardo di dollari tre anni fa, in una delle più grandi storie di successo del modello di business. L’accordo sembrava un matrimonio ideale ma, come si può facilmente intuire, le cose non hanno funzionato.
Le DTC altamente finanziate da Venture hanno due percorsi verso la longevità e il successo. Possono vendere a un colosso già presente sul mercato, esattamente come Bonobos e Jet.com hanno venduto a Walmart, o possono tentare la fortuna e rendersi pubbliche. I giganti del mercato sono disposti a trascurare i bilanci poco perfetti delle DTC perché quello che stanno acquistando non è un modello di business, tutt’altro, è una decisione basata sui dati. Quindi, quando una startup come Harry’s che ha pianificato di abbandonare il mercato vendendosi a un’altra azienda improvvisamente non può, quali opzioni le restano?
Quando i co-fondatori di Warby Parker hanno inizialmente raccolto i primi 2.500 dollari mentre ricevevano i loro MBA a Wharton, non avrebbero potuto immaginare che un decennio dopo la loro azienda, che vende eleganti occhiali online a prezzi ragionevoli, sarebbe stata valutata 1,75 miliardi di dollari, o che l’intera economia delle startup sarebbe stata fondata a loro immagine.
Per anni, le voci di un’offerta pubblica iniziale (IPO) hanno ruotato attorno a Warby Parker. Quando sei l’esempio che centinaia di aziende hanno cercato di emulare, con quasi 300 milioni di dollari di finanziamenti, la gente inizia a voler sapere come uscirai dal mercato, se mai lo farai. Poco più di un anno fa, il co-fondatore e co-amministratore delegato Neil Blumenthal ha rivelato a Business of Fashion che in termini di uscita, “il risultato più probabile è un’ IPO nei prossimi due anni”.
La settimana scorsa, Blumenthal ha spazzato via l’idea che Warby avesse bisogno di essere resa pubblica ora. “Abbiamo sempre visto un’IPO come un’occasione di finanziamento. In un’offerta pubblica iniziale, si raccoglie capitali”, mi ha detto. “E al momento non c’è un bisogno urgente di capitale; siamo stati in grado di raccogliere capitali nei mercati privati.” Quando Warby avrà bisogno di liquidità, ha spiegato, la otterrà nel modo più efficace possibile. “Se dovesse voler dire fare un’ IPO, faremo un’ IPO, “Ha detto. “Se dovessimo farlo tramite un canale privato, resteremo nei mercati privati.” Blumenthal non si è addentrato nello specifico in merito alle finanze di Warby, ma ha assicurato che Warby Parker genera utili dal 2018 ed è ancora in crescita. “La crescita è aumentata nel 2018-2019 rispetto al 2017-2018, che era già a un ottimo punto”, ha affermato.
Ma come tutte le DTC mono prodotto, anche Warby ha bisogno di uno step successivo. Come ha riferito Bloomberg Businessweek nel mese di novembre, l’azienda ha contemplato tutto a diverse riprese, dalla vendita di orologi alla vendita di un proprio software. Più di recente, però, è arrivata ad un’estensione logica del mercato – il business delle lenti a contatto da 11 miliardi di dollari.
Blumenthal non è solo un fondatore di startup, è anche un investitore. Non è mai stato più facile e meno costoso che mai avviare un’attività, ma non è mai stato più difficile di così ampliarne una.
Fonte: Global Retail Alliance