Startup: dalla corsa degli unicorni alle sfide nella moda
Si parla tanto di startup dalle valutazioni stellari come Vinted o Klarnae, automaticamente, i sogni di tante realtà emergenti – soprattutto in ambiti come il fintech, il retailtech e la sostenibilità – si accendono o riaccendono. Ma, per così dire, solo uno su mille ce la fa. Ne parliamo con tre esperti, stringendo l’obbiettivo sulla moda: un settore che, al di là degli investimenti di tipo finanziario, può offrire alle startup interessanti partnership industriali e di business. le testimonianze di Giusy Cannone, ceo di Fashion Technology Accelerator/Fta, acceleratore del mondo fashion tech il cui portafoglio ha superato le 30 startup, con un valore aggregato delle partecipazioni di oltre 40 milioni di euro; Leonardo Raineri, innovation manager di Miroglio Group, player italiano che controlla marchi come Fiorella Rubino, Motivi ed Elena Mirò; e Massimo Volpe, co-founder di Retail Hub, business accelerator per l’innovazione in ambito retail, oltre che fondatore e ceo della Global Retail Alliance (Gra), associazione internazionale che supporta e riunisce le comunità retail a livello globale.
Giusy Cannone
Ceo
Fashion Technology Accelerator-Fta
«In questi anni abbiamo visto diversi unicorni nel fashion tech, che grazie al ricorso ai fondi sono cresciuti tanto in un lasso di tempo molto breve. Difficile dire se gli investitori che hanno scommesso su quest’ultimo round avranno la possibilità di ricevere un ritorno finanziario importante, proprio a causa della valorizzazione elevata e quindi delle opzioni sempre più ridotte di acquisizioni: è complicato trovare molti attori che abbiano la possibilità di acquistare un’azienda a un prezzo così importante. Lo sviluppo più plausibile è la quotazione in Borsa. Le valutazioni stellari danno comunque un’indicazione di come aziende con un dna digitale abbiano la possibilità di generare un potenziale di crescita molto maggiore rispetto ai player di moda “tradizionali”. È del resto innegabile che la pandemia abbia avuto un impatto positivo sulle startup più tecnologiche, visto che diverse realtà del fashion hanno dovuto ricorrere a live streaming, virtual try o showroom digitali, soluzioni che prima non avevano mai preso seriamente in considerazione. Altre startup hanno sfruttato la propria agilità per cambiare modello: vedi Penguinpass, che forniva un sistema per la gestione smart degli eventi fisici e che a marzo 2020 ha convertito questo sistema a misura di quelli online. Inoltre, le startup che si muovono con un modello direct-to-consumer hanno reagito rapidamente alla crisi, spostando il budget di marketing di volta in volta sui Paesi meno colpiti. Per quanto riguarda Fta, uno dei driver principali che oggi guardiamo nelle startup in cui investiamo è la sostenibilità, perché tutti gli stakeholder rilevanti (aziende, consumatori e investitori) vanno in questa direzione. In aggiunta, ci interessa il mondo tecnologico legato all’AI con applicazioni nella moda, mentre nell’ambito dei capi digitali abbiamo finalizzato un investimento nel marketplace Ardrobe. Risale ad aprile il lancio in Qatar il programma di incubazione Scale7, sponsorizzato da Qatar Development Bank, che vuole creare e supportare un ecosistema imprenditoriale nella moda, generando progetti di sostegno a nuovi designer e startup. Siamo stati selezionati come società di gestione di questa iniziativa: i governi locali dei Paesi del Golfo, grandi consumatori dell’alto di gamma, hanno ora l’ambizione di costruire un’industria che produca lusso, oltre ad acquistarlo e questo programma è un primo e importante step. Già due anni fa siamo stati a Doha e abbiamo visto diversi designer talentuosi: le competenze che Fta porterà attraverso la sua rete saranno utili per dare loro un respiro internazionale. Un’ultima riflessione generale è che su dieci investimenti in portafoglio circa la metà fallisce o genera performance piuttosto negative, tre possono portare a un ritorno pari a tre volte l’investimento e due generare una performance molto positiva, ossia di dieci volte l’investimento. Perciò il consiglio che si dà sempre a chi investe in startup è di avere un portafoglio di almeno dieci investimenti».
Leonardo Raineri
Innovation manager
Miroglio Group
«Le startup innovative sono, per loro natura, in genere soggette a un tasso di fallimento particolarmente importante, ma va detto che negli ultimi anni l’ecosistema delle startup, per come vengono valutate e come viene percepita la loro proposta di valore, è maturato. Da soggetti cool, quasi di moda, su cui molti investivano (in modo non sempre consapevole) alla ricerca di exit importanti o convinti che fossero elemento sufficiente per “fare innovazione”, si è passati a un approccio più attento e pragmatico, che ha anche progressivamente ridimensionato l’idea che l’unico successo da inseguire sia quello di diventare il prossimo unicorno con quotazioni miliardarie. Tra il diventare il prossimo Instagram o AirBnB e il fallire nella fase di early stage ci sono, in realtà, molte altre opportunità di successo che possono essere colte da parte di investitori, imprese e startup stesse. Il mercato italiano degli investimenti in startup offre oggettivamente minori opportunità di scalabilità rispetto a piazze più ampie ma il fashion, con tutte le eccellenze presenti sul nostro territorio, è un palcoscenico di incredibile prestigio e valore per le startup di tutto il mondo. Credo, quindi, che per le startup sia importante focalizzarsi anche sulle partnership industriali e di business che possono instaurare con le nostre realtà di settore. Le aziende italiane della moda hanno esperienza e know how, fortissima riconoscibilità e storia, network di contatti, accesso privilegiato a fornitori, modelli di produzione e commercializzazione solidi e scalabili: tutti asset che, in molti casi, per una startup valgono più di un investimento puramente monetario. In Miroglio abbiamo cominciato ad affrontare questo tema in modo strutturato e continuativo dal 2013. Ogni anno incontriamo centinaia di progetti innovativi da tutto il mondo e abbiamo esplorato molte delle forme di relazione che si possono avere tra aziende consolidate e questa tipologia di realtà imprenditoriali: dalle intese con startup in veste di semplici fornitori di prodotti e servizi, a partnership più strette, che prevedono lo sviluppo congiunto di progetti particolarmente innovativi, fino allo sviluppo di startup internamente all’azienda, con il nostro programma di Corporate Entrepreneurship. Molti progetti ci hanno dato grandi soddisfazioni, altri non hanno avuto altrettanto successo, ma tutti hanno apportato il loro contributo di conoscenza e creazione di valore nei processi di innovazione interna. Tra l’altro, la startup può rivelarsi un eccezionale strumento per testare e validare in modalità protetta idee, tecnologie, nuovi modelli di business, ossia elementi che normalmente è piuttosto complicato esplorare all’interno dei processi e delle dinamiche tipiche di un’impresa consolidata. Allo stesso tempo, le startup possono essere di grande valore come stimolo ed esempio per l’azienda, dimostrando come certi progetti particolarmente innovativi (e quindi carichi di incognite) possano essere affrontati con modalità agili e a basso costo».
Massimo Volpe
Co-founder
Retail Hub
«La valutazione di realtà come Klarna è legata soprattutto al fatto che una startup di questo tipo si trova oggi al centro di due tra i settori di maggiore attrattività degli interessi dei venture capital e dei fondi in generale, il Fintech e il Retailtech: è quasi una tempesta perfetta. Vinted invece, così come The Real Real negli Usa (diventata public nel 2019), è il risultato di un fenomeno iniziato ben prima del Covid e dettato dalla necessità di trovare formule di sostenibilità, economica e ambientale, per il fashion. Il loro futuro? Va riconosciuto che Vinted ha una barriera di ingresso più alta rispetto a Klarna (che vede moltiplicarsi i competitor quasi a cadenza mensile) e maggiori possibilità di essere acquisita o partecipata da brand sempre più sensibili ai temi green. Visto che la pandemia è stata un boost per tutte le startup, la speranza oggi è che le realtà soprattutto del B2B abbiano raggiunto la consapevolezza che i tempi di scelta e integrazione vanno accelerati, per potersi adattare a cambi repentini. Un’ulteriore considerazione riguarda la provenienza degli investitori: a chi chiede come mai in Europa, e anche in Italia, non si investe abbastanza nelle startup rispondo con una constatazione semplice, ossia che da noi il problema principale è l’accesso al capitale, non paragonabile al mercato per esempio americano. Ma è anche una questione di mentalità, di propensione al rischio, che soprattutto nel nostro Paese ancora manca. La nota positiva è che gli investitori non europei hanno capito che, a parità di innovazione, è meglio venire a fare shopping di startup in Europa, visti i prezzi scontati: un miglioramento rispetto a un passato in cui idee germogliate nel Vecchio Continente non avrebbero potuto mai competere ad armi pari con idee simili, ma nate negli Usa o in Cina. Quanto alle tipologie di startup più appetibili, dipendono molto da contesti, finalità (finanziaria, industriale o di marketing), geografia, tempi. Non dimentichiamo che a volte si investe in startup solo per acquisire più velocemente determinate competenze e poi dismetterle: il caso più famoso nel retail è quello di Jet.com e Walmart, un’acquisizione da 3,3 miliardi di dollari, chiusa dopo tre anni»
Fonte: .a.b. per Fashion Magazine